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Formazione : Dai corsi alle comunità di pratica: nuove prospettive per la formazione Indire
Inviato da DIDATTIKA il 23/11/2005 1:50:00 (6291 letture)

Open in new windowAmbienti di sviluppo professionale e comunità di pratica: un aiuto alla crisi del modello tradizionale di corso di aggiornamento?
di Massimo Faggioli 23 Novembre 2005
da indire.it


Il modello tradizionale di corso di aggiornamento è in crisi: il tempo del corso e quello dei problemi della pratica professionale sono spesso distanti e gli insegnanti riescono raramente a trasferire le conoscenze astratte in competenze sul campo. A questa crisi non sfuggono i corsi in e-learning, la tecnologia può essere infatti un fattore che esaspera la solitudine del percorso individuale. Ambienti di sviluppo professionale continuo e di comunità di pratica on line possono aiutare a cercare una soluzione: ma senza facili scorciatoie…
Il rapporto sul monitoraggio svolto dall’Università Cattolica di Milano sul piano di formazione “PuntoEdu dlgs. 59”, che ha coinvolto nello scorso anno scolastico quasi 200.000 docenti, mette in evidenza alcuni aspetti critici. Il più interessante riguarda la percezione che i docenti in formazione hanno dei corsi di blended e-learning a cui hanno partecipato. L’ambiente di apprendimento PuntoEdu viene visto come un luogo di prima alfabetizzazione ai temi dell’innovazione, i cosiddetti “materiali di studio”, che nelle intenzioni dei progettisti rappresentano il background culturale su cui costruire la partecipazione attiva alle e-activities e alla community, ottengono in realtà il maggior indice di gradimento da parte dei corsisti. Questa apparente contraddizione tra le linee guida del progetto di formazione e il feedback dei corsisti può invece essere lo spunto per una riflessione più ampia. Il modello di blended e-learning praticato dal 2001 ad oggi con PuntoEdu, è orientato a favorire processi di personalizzazione del percorso formativo, a offrire opportunità di apprendimento attivo, a stimolare il confronto tra i partecipanti e la crescita di community di insegnanti. Tuttavia, per le limitazioni derivanti dal quadro di sistema in cui si organizzano i piani di formazione, non si è mai arrivati a mettere in discussione due fattori di criticità della formazione in servizio:
- la dimensione individuale del processo: il soggetto in formazione è il singolo docente, il percorso si snoda attraverso momenti in aula, con un tutor che è ancora una figura professionale da definire e formare, e in momenti on line in cui la maggior parte delle attività ha ancora un carattere strettamente individuale.
- la dimensione del “corso”, che prevede uno sviluppo definito nel tempo, un inizio e una fine, e che rende lo spazio della formazione un luogo “altro” rispetto alla pratica professionale dell’insegnante.

Non sono problemi specifici dei corsi di e-learning, al contrario essi riguardano tutta l’attività di formazione degli insegnanti.
C’è una forte contraddizione tra la riflessione sulle politiche per la formazione degli insegnanti in servizio dell’ultimo decennio e le pratiche predominanti in questo settore. Da più parti infatti sono state espressi forti dubbi sull’efficacia dei corsi di aggiornamento tradizionali. Valga per tutti il parere di Mario Dutto che nel 2000, nel numero degli Annali dedicato all’indagine nazionale sulla formazione degli insegnanti denominata “Moniform” scrive: “Niente ha promesso così tanto ed è risultato così frustrante come le centinaia di workshop e conferenze che non hanno portato a significativi cambiamenti nella pratica didattica, una volta che gli insegnanti sono tornati nelle loro classi ”.

Se la formazione degli insegnanti è una formazione “per l’innovazione”, il suo scopo ultimo è quello di mettere i soggetti in formazione nella condizione di chi fa ricerca. L’insegnante innovatore somiglia dunque al “professionista riflessivo”, definito da Schon come colui che nell’agire professionale si pone nell’atteggiamento del ricercatore, ed è capace di accresce conoscenze e competenze riflettendo sulle proprie azioni nel contesto professionale mentre esse si svolgono. La formazione in quest’ottica è un processo che conduce il soggetto a modificare i propri comportamenti professionali in modo innovativo in un processo ciclico tra esperienza, riflessione e conoscenza, in un rapporto circolare tra teoria e pratica. Tutta la ricerca sulle comunità di pratica muove dalla consapevolezza che la crescita delle conoscenze e delle competenze professionali è legata alla capacità di riflettere sull’agire e sulla capacità di riconoscere e risolvere i problemi del contesto professionale, ma lega questo processo alla dimensione sociale.

Cominciare a ripensare la formazione dei docenti in questa prospettiva significa in primo luogo ripensare e superare l’idea di “corso”. Il corso infatti è un luogo che:
- astrae il soggetto dal suo contesto professionale, lo pone in un tempo e in un luogo estraneo alla pratica quotidiana: il corso residenziale, quello che ha una scansione di incontri in aula o in laboratorio distribuiti su un periodo di tempo più o meno lungo, ma anche i corsi in e-learning, danno alla persona in formazione l’idea di trovarsi in fase di “aggiornamento”. L’idea di “aggiornamento” rimanda a procedure tecniche: una macchina si toglie dal processo di produzione, se ne aggiornano alcune parti, a si ricolloca al lavoro. Accade qualcosa di simile quando si pensa la “formazione sull’innovazione”: all’assetto presente vengono aggiunti nuovi moduli che aggiornano le conoscenze (una nuova legge di riforma, dei nuovi programmi didattici, nuovi strumenti o nuovi assetti organizzativi da applicare nella scuola) un po’ come quando si fa l’upgrade di un software. L’idea di “aggiornamento” ha come suo naturale strumento il corso meramente trasmissivo basato sulla lezione frontale.
- Il corso ha dei contenuti e un iter standardizzato, anche quando tenta un approccio per problemi e prevede un’articolazione in gruppi di lavoro. Temi, casi, attività hanno un valore esemplificativo piuttosto astratto, tentano di intercettare i problemi tipici della figura professionale a cui è diretta la formazione, ma non c’è nessuna garanzia che ci sia una reale corrispondenza tra i bisogni formativi, che hanno sempre un carattere soggettivo, e ciò che costituisce l’offerta formativa di un corso.
D’altra parte non si può ripensare la formazione con un semplice rovesciamento del focus delle azioni formative, appiattendo i percorsi sui bisogni formativi dei partecipanti. I bisogni formativi di ciascuno dipendono dalla capacità di analizzare il contesto in cui si agisce, di individuare i problemi che si incontrano, ma anche da interessi culturali, preferenze e inclinazioni che ne fanno un campo altamente individuale. E’ tuttavia indubbio che l’insegnante in servizio opera all’interno di un sistema che pur riconoscendo larga autonomia ai singoli docenti e all’istituzione scolastica, si muove anche secondo strategie di cambiamento e priorità che vengono decise a livello politico generale. Si pone dunque un problema di equilibrio tra l’esigenza del centro (la formazione sull’innovazione) tesa a far conoscere agli insegnanti queste linee di indirizzo nella speranza che queste vengano attuate, e l’esigenza dei singoli docenti o di gruppi di crescere professionalmente seguendo linee fortemente personalizzate (la formazione per l’innovazione). Non c’è dubbio che la linea d’azione dal centro verso la periferia, che punta per forza di cose su strumenti trasmissivi, difficilmente riesca a innescare processi di cambiamento. Ma è altrettanto vero che la formazione del personale in servizio avviene nel contesto dell’organizzazione, nel nostro caso, in senso ampio, il sistema scolastico, e che l’organizzazione si caratterizza per una mission complessiva che essa persegue stabilendo obiettivi a medio e a lungo termine che vanno raggiunti con il supporto di azioni di formazione del proprio personale. Ne derivano priorità che danno luogo a piani di formazione su temi e con obiettivi specifici. La formazione non è quindi per il docente un esercizio di libera acculturazione che segue linee del tutto personali ma un processo che deve coniugare i bisogni formativi della persona con le priorità espresse da livello politico dell’organizzazione: nasce il problema di come creare un ambiente per la formazione che permetta a queste due linee di incontrarsi e di dar luogo a un processo circolare in cui gli indirizzi del centro siano messi in relazione con i bisogni formativi che emergono dal contesto professionale dei docenti e vengano rielaborati in sintesi significative, modellate sui problemi professionali analizzati sul campo. Una formazione che producesse effetti di questo tipo potrebbe costituire un laboratorio di “innovazione al lavoro” di grande utilità per avere un feedback importante che l’organizzazione riesce difficilmente ad avere quando il processo è lineare e va dal centro verso la periferia, o quando le scuole o addirittura i singoli docenti, come è avvenuto negli anni in cui l’aggiornamento era un requisito per l’accelerazione della progressione economica, sono gli unici soggetti che decidono i temi, i modi, le agenzie con cui istituire i corsi.

C’è un terzo polo, accanto ai bisogni formativi di singoli o di gruppi di insegnanti e alle priorità espresse dal livello politico, che deve entrare in gioco in questo flusso circolare, ed è il mondo dell’università e della ricerca. La distanza storica tra il fare della scuola e la riflessione teorica sui temi che la interessano è talmente marcata che i docenti dimostrano una certa insofferenza per il sapere che viene proposto da chi non lavora sul campo. Ma per una professione altamente intellettuale come quella dell’insegnante la separazione tra pratica e ricerca provoca effetti molto negativi. Oggi è in gran voga tra chi si occupa di formazione il tema delle comunità di pratiche professionali. Non c’è dubbio che questo argomento abbia il grande pregio di riportare il soggetto in formazione e la conoscenza che egli matura nel corso della sua esperienza professionale al centro del processo di formazione. Creare ambienti in cui gruppi di persone che svolgono la stessa attività condividono percorsi operativi mettendo in comune il sapere che hanno sviluppato nella loro pratica professionale è una prospettiva molto suggestiva, l’unica capace di intercettare la cosiddetta “conoscenza tacita”, quel campo di conoscenze che non sono mai state esplicitate e formalizzate e che costituiscono una parte essenziale degli strumenti con cui i soggetti affrontano e risolvono i problemi concreti nell’agire professionale quotidiano. Ma una visione esasperata dell’idea di comunità di pratiche può essere molto rischiosa se applicata a figure professionali come gli insegnanti. Essi operano come professionisti in un’organizzazione dalla mission molto complessa: il problema è da un lato quello di portare in superficie la loro conoscenza tacita, quel campo di conoscenze che ognuno usa nel suo lavoro (a volte risolvendo in problemi senza neanche aver capito di averli avuti), ma è dall’altro quello di essere sperimentatori consapevoli del nuovo, professionisti dell’innovazione che usano come risorsa il sapere che si sviluppa intorno alla loro professionalità. Le comunità di pratiche, ma anche i modelli del cooperative learning e tutte le forme di organizzazione peer to peer, vanno visti dunque come sistemi aperti, o meglio come sottosistemi di un grande sistema di circolazione e di condivisione della conoscenza. Possono essere il luogo in cui le priorità e le linee dell’indirizzo politico, le conoscenze disponibili, le linee della ricerca teorica, interagiscono con i bisogni formativi e i problemi professionali degli insegnanti. E possono essere anche il laboratorio che produce nuova conoscenza che potrebbe, in un processo circolare, essere una risorsa fondamentale per orientare gli indirizzi del mondo della ricerca e del livello in cui maturano le scelte politiche in modo più vicino alle esigenze della scuola.

Un flusso circolare di questo tipo mette in discussione un altro dei temi centrali nella discussione sulla formazione, quello del knowledge management (KM). Non c’è dubbio che il problema di reperire, conservare e diffondere la conoscenza acquisito al suo interno, sia un interesse vitale di ogni organizzazione. L’enfasi posta sul termine “management”, gestione, lascia intendere che il problema sia quello di tesaurizzare la conoscenza, di creare archivi centralizzati in cui entra ciò che l’organizzazione ritiene utile ai suoi fini per poi essere ridistribuito a chi opera al suo interno. In molti casi il focus della riflessione sul KM si sposta sulle soluzioni procedurali e tecniche più utili a questo processo, messe sempre in relazione con la struttura gerarchica dell’organizzazione. Si discute quindi su chi e come opera il filtro di validazione delle conoscenze da inserire nel sistema o sulla definizione dei diritti di acceso alla conoscenza in relazione alla posizione occupata nell’organigramma dell’organizzazione. In realtà il vero problema sta nel definire non solo “cosa” raccoglie un sistema di gestione della conoscenza ma “come” si elabora questa conoscenza, come cioè i membri dell’organizzazione possono diventare soggetti attivi di comunità di pratiche che contribuiscono all’alimentazione del sistema. E “come” questa conoscenza torna a sostenere, come risorsa, il processo di formazione continua degli stessi gruppi di professionisti alle prese con problemi condivisi nel contesto in cui operano. In questa visione del flusso pare molto più pertinente parlare di “knowledge sharing” piuttosto che di “management”.

La scuola non fa eccezione, e anzi la dispersione del sapere derivato dall’esperienza è uno dei problemi ai quali si è tentato più volte di porre rimedio con sistemi di documentazione delle buone pratiche, in particolare con il sistema GOLD sviluppato prima dalla BDP e poi da INDIRE come componente primaria della mission dell’istituto. La scarsa efficacia di questi sistemi deriva probabilmente dal fatto che si è cercato di affrontare in modo settoriale un problema di knowledge globale. Il concetto stesso di documentazione richiama l’idea della costruzione di archivi, cioè di repository statici che raccolgono oggetti dell’esperienza delle scuole. In una visione complessiva del processo circolare di elaborazione, sistematizzazione e uso condiviso della conoscenza, le buone pratiche hanno un ruolo fondamentale ma non esaustivo. Il loro valore non sta tanto nella creazione di un sistema di rappresentazione dell’innovazione nella scuola reale, che è un obiettivo interessante ma che rischia di ricondurci all’idea di “museo della scuola” su cui è nata all’inizio del secolo il concetto di documentazione della didattica, quanto nello sviluppo di un sistema in grado di socializzare i problemi e le possibili soluzioni che si sperimentano nella scuola, un sistema per raccogliere e rendere disponibile a tutti i professionisti della scuola questa conoscenza che costituisce una risorsa fondamentale per tutta la formazione.

Quali sono le risposte concrete che INDIRE sta elaborando per riorientare le proprie azioni sulla formazione degli insegnanti e sulla documentazione della didattica verso i nuovi scenari che derivano da queste riflessioni?
Prima di tutto un processo di fusione di queste due dimensioni, quella della documentazione e quella della formazione, in un sistema unitario in cui la narrazione, la riflessione sull’agire in didattica da parte degli insegnanti è il trait d’union che avvicina l’azione dei docenti che documentano (che nel corso della pratica, riflettono sul processo in atto, lo osservano e ne tesaurizzano i passaggi chiave in una forma esportabile in un sistema di condivisione delle best practice) e di quelli in formazione (che condividono in comunità di pratica processo collaborativi di riflessione e di produzione di materiali, progetti, oggetti con il supporto di un sistema di knowledge sharing che rende disponibili best practice, materiali teorici, learning object e tutto quello che viene prodotto nell’ambito di una comunità allargata di insegnanti, di ricercatori e di professionisti della scuola).

E’ una linea di tendenza che impegnerà INDIRE nel lungo periodo ma che darà fin dal 2006 i primi segnali di concretezza: a partire dal nuovo anno infatti, accanto ai tradizionali corsi di PuntoEdu, nascerà “INDIRE.Edu”, una grande community dei docenti che, dopo aver partecipato ai corsi o iscrivendosi direttamente al nuovo ambiente, potranno entrare in un ambiente di formazione continua. INDIRE.Edu sarà il luogo di incontro tra docenti, ricercatori e professionisti della scuola, una community dove reperire risorse, partecipare ad ambienti di discussione tra colleghi, esperti e ricercatori, cooperare in gruppi e comunità di pratica che cresceranno secondo le esigenze espresse dai partecipanti. Il cuore di questo sistema sarà un sistema di knowlwdge sharing che metterà a disposizione una selezione degli oggetti sviluppati dai gruppi, le risorse contenute in banche dati e ambienti di e-learning già esistenti, le best practice documentate dalle scuole, il materiale pubblicato nelle webzine di INDIRE, i rapporti di ricerca e i contributi della rete di università che partecipa alla riflessione sull’e-learning promossa dall’istituto e tutto quello che sarà utile per supportare il lavoro di formazione continuo, o meglio di sviluppo professionale continuo, degli insegnanti.

Parallelamente inizierà un profondo ripensamento della struttura dei corsi di blended e-learning finora praticati in PuntoEdu. Accanto all’offerta formativa generica, basata come abbiamo visto su una fruizione individuale, verranno incrementate quelle componenti dell’ambiente che fino ad oggi hanno fatto timida comparsa nella forma dei cosiddetti “laboratori sincroni, laboratori di gruppo basati sulla condivisione di una metodologia e di un compito da svolgere insieme. Nei nuovi corsi in PuntoEdu questa dimensione tenderà ad estendersi fino a diventare il cuore dell’attività di formazione, con modalità organizzative basate sui modelli del cooperative learrning.

Sia le attività dell’ambiente di formazione continua che quelle dei gruppi cooperativi in PuntoEdu, così come i grandi progetti di documentazione delle best practice, non solo GOLD ma anche progetti come RISORSE (la ricerca-azione condotta dagli IRRE su base nazionale per legger l’innovazione scolastica che si sviluppa in seguito ai recenti mutamenti del quadro normativo) o l’indagine nazionale sui POF delle scuole, alimenteranno il sistema complessivi di knowledge sharing, di raccolta e di circolazione della conoscenza in tutto il sistema scuola.
>>L'ARTICOLO
http://www.bdp.it/content/index.php?action=read&id=1314
>>Scarica e guarda la presentazione completa
http://www.indire.it/db/docsrv//PDF/indireedu/indireedu.pdf
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http://www.indire.it/db/docsrv//PDF/educorsi.pdf



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