Registrati su ANITEL     PORTALE ANITEL - SCUOLA: La trasformazione della nozione di tempo - Aggiornamento - Notizie
Home FAQ Contattaci Cerca FAD Lingua
Area pubblica
Risorse
Contenuti
Corsi ANITeL
NetCast
Second ANITeL
ANITeL su facebook
Aggiornamento : SCUOLA: La trasformazione della nozione di tempo
Inviato da DIDATTIKA il 11/5/2005 18:25:09 (2098 letture)

La celebre formula di Newton, "il tempo è assoluto, vero, matematico", non esprimeva solamente i principi scientifici del XVII secolo, ma anche la rappresentazione soggettiva che ogni individuo aveva del tempo in quella società.

Open in new window


Da
Open in new window


Dall'inizio del XIX secolo, quando un qualsiasi monarca o ministro dell'istruzione poteva vantarsi, guardando l'ora, di sapere che cosa si insegnava in tutte le scuole del suo regno, il tempo è diventato un fattore determinante di organizzazione uniforme dell'insegnamento.
Con la teoria della relatività, Einstein ha aperto, all'inizio del nostro secolo, una strada completamente nuova per ripensare la dimensione del tempo. Nella "Nuova Alleanza", Ilya Prigogine descrive la profonda metamorfosi della scienza a partire da questo rivoluzionario concetto di tempo, e sottolinea che il tempo associato allo sviluppo biologico o all'evoluzione della società non è il medesimo di quello che descrive il movimento dei pianeti o di un pendolo ideale. Il tempo reversibile, identico a se stesso, che procede in maniera meccanica, è diventato in fisica, in storia, in biologia, un tempo irreversibile poiché gli avvenimenti che interessano la vita si modificano continuamente.
La trasformazione della nozione del tempo ha reso necessaria la formulazione di nuove immagini, come quella della "freccia del tempo" (1928), che indica la sua proprietà di non retrocedere né arrestarsi: il tempo può solo avanzare. La "freccia del tempo" simbolizza inoltre il fatto che il presente contiene il futuro.
In sostanza, nel XX secolo il concetto di tempo ha conosciuto la più radicale trasformazione di ogni epoca. Il nuovo approccio ha investito la ricerca filosofica, sociologica e psicologica. Gli sviluppi delle telecomunicazioni, dell'informatica, i viaggi intercontinentali hanno trasformato le nostre rappresentazioni della velocità, della distanza, della comunicazione e, parallelamente, anche il valore del tempo nella vita dell'individuo e della società.

Il “tempo scuola”: la trasformazione negata

Di questa nuova dimensione del tempo che segna il passaggio di un'epoca, esiste un'"interpretazione" educativa? Come ha reagito la scuola agli stimoli delle riflessioni delle scienze, alle modificazioni dei comportamenti umani, alla nuova percezione soggettiva della dimensione temporale? Esiste un'evoluzione dell'impiego, della progettazione e dell'organizzazione del tempo scolastico?
La risposta è purtroppo negativa. La concezione del tempo, dei ritmi d'insegnamento, dell'organizzazione didattica, del monopolio della “lezione”, definita e consolidata con i sistemi scolastici nazionali alla metà del XIX secolo, è rimasta pressoché immutata fino ai giorni nostri.
Ma procediamo con ordine.

Una breve storia del “tempo scuola”

Le origini del tempo scolastico
Il tempo è la risorsa più importante e preziosa dell'insegnamento e dell'apprendimento. Fin dalle origini della scuola l'organizzazione del tempo di lavoro degli studenti e degli insegnanti è stata al centro di un'attenzione particolare. I Gesuiti, tra i primi, hanno accuratamente ripartito il tempo in tre dimensioni fondamentali: la lezione, lo studio individuale e la ricreazione , all'interno di una organizzazione “totalitaria”, che occupava l'intera giornata dei ragazzi, 24 ore su 24. A questa ripartizione corrispondeva anche una coerente definizione degli spazi. L'edificio scolastico era – come in gran parte rimane – una combinazione di un modulo seriale, l'aula, l'unità di misura della scuola, alla quale si connettono altri spazi funzionali non essenziali, ma utili alla circolazione fluida e ordinata degli attori della scena educativa (corridoi, atrio, cortile della ricreazione).
Il XIX secolo
Con l'avvio dei sistemi scolastici nazionali alla metà del XIX secolo, la concezione del tempo, del ritmo di insegnamento, dell'organizzazione didattica, si è definita e consolidata in un unico modello, che potremmo definire “amministrativo”. Quel modello è rimasto pressoché immutato fino ai giorni nostri, specialmente nella scuola secondaria.
I tentativi di cambiamento tra il XIX e il XX secolo
A cavallo tra il XIX e il XX secolo l'impegno dei nostri migliori intellettuali è stato vivacemente presente sulle tematiche della dimensione temporale, dei ritmi di apprendimento e dei “bisogni” degli studenti. Un grande filologo come Pasquali, ma anche il suo collega Augusto Monti, intervenivano contro il “sovraccarico” delle materie e dei compiti per casa in difesa della salute psichica e fisica degli studenti; Luigi Einaudi, ex insegnante di liceo, in un lucidissimo intervento sul “Corriere della Sera” polemizzava contro gli orari lunghi (nel 1913 il liceo occupava i ragazzi 24 ore la settimana!), e prima di lui aveva detto parole fondamentali un genio della matematica e della didattica come Giovanni Vailati (1906):
“Uomini colti, insegnanti, studiosi di pedagogia, che respingerebbero con terrore la proposta di impegnarsi, fosse anche solo per una settimana, ad assistere a tre conferenze al giorno, l'una di seguito all'altra, anche sui soggetti che maggiormente li interessassero, non sembrano vedere l'assurdità didattica, igienica, e psicologica di ordinamenti scolastici che costringono i ragazzi dai dieci ai diciotto anni a rimanere inchiodati, in media per cinque ore al giorno, durante anni interi, sui banchi della scuola, come se non vi fossero altri mezzi per ottenere gli scopi che così si raggiungono o, per parlar più esattamente, gli scopi che si crede così di raggiungere…”
Nello stesso senso si esprimeva Gaetano Salvemini
Il trionfo dell'idealismo
Il processo di inconsapevole occultamento delle condizioni con cui l'organizzazione scolastica può favorire o meno il processo di apprendimento è avvenuto in Italia con il trionfo dell'idealismo, a cui si deve anche l'affermazione dell'omogeneità qualitativa del tempo scuola con il conseguente rifiuto delle “ opzionalità” accusate da Giovanni Gentile (1902) di essere ree di attentato all' “integrità dello spirito”:
• “Ora mi par chiaro questo: che, se lo Stato insegna, deve sapere quel che ha da insegnare. E se lo sa, non deve ammettere che un ragazzo o un padre di famiglia, opponendo al suo sapere, che, storicamente parlando è la scienza stessa, rompa ad libitum l'organismo della sua scuola, e trascelga tra le morte membra quelle che più gli aggradano a comporre un corpo mostruoso ed esanime. Ovvero lo Stato non crede di sapere quello che ha da insegnare; e cassa allora il suo diritto di tenere e governare la scuola ”
A Gentile si deve anche il consolidamento del monopolio della lezione magistrale sull'attività laboratoriale, sulle discipline applicative od operative.
Da Gramsci ai giorni nostri: lo studio come sacrificio e fatica
Posizioni come quelle espresse da Vailati, Monti, Einuadi e Salvemini, sono rimaste isolate e inascoltate nel tempo. Si è affermato invece il discorso– chi non ricorda le parole di Gramsci ? – che lo studio, per essere tale, deve essere associato alla fatica, al sacrificio, al dolore di imparare, niente di più lontano dalla soggettività dello studente massa di oggi.
In tal modo l'analisi scientifica sulle condizione di lavoro dei ragazzi è divenuta irrilevante e la ricerca si è sentita esonerata dalla riflessione sull'organizzazione dei tempi e degli spazi dello stare a scuola.
Così – negli anni Cinquanta – cadde nel vuoto l'intelligente impegno polemico di Guido Calogero (1953 ), che accusava di sadismo questa impostazione “penitenziale” del mestiere di studiare, che ancor oggi gode di grande credito:
• “Anche i laici più inveterati, in Italia, credono nel peccato originale. Il ragazzo è originariamente sbagliato, storto, e deve essere fatto soffrire durante tutta la sua fanciullezza e l'adolescenza, per diventare adulto. Egli vorrebbe divertirsi. No, deve sgobbare (quando si potrebbe studiare il modo di farlo lavorare in modo divertente). Egli vorrebbe leggere libri piacevoli. No, deve leggere libri noiosi (noiosi, beninteso, anche per l'insegnante, quando ce ne sarebbero tanti che potrebbero nello stesso tempo divertire lui e loro). Egli vorrebbe sentir parlare di problemi che lo interessano. No, deve sentire parlare di problemi che interessano i suoi maestri (o che i programmi del ministero presuppongono che interessano i suoi maestri, i quali poi troverebbero forse più interessanti i problemi suoi)."
Gli stessi studenti – come dimostrano le vicende del lunghissimo '68 italiano e i contenuti rivendicativi dei vari “movimenti” – hanno preferito restare sul terreno dell'idealismo, della contestazione delle “riforme”, del sostegno alle rivendicazioni degli insegnanti, affetti da una specie di sindrome di Stoccolma, piuttosto che riflettere sul loro modo di lavorare a scuola. Lo studente “attivo” nelle assemblee delle scuole italiane sa riassumere con una certa efficacia i contenuti (compresi gli emendamenti) dell'ultima legge finanziaria e tradurre in slogan una piattaforma contro i “tagli” all'occupazione del personale ed anche degli orari (Scuola ripartono le occupazioni. Contro la riduzione di ore e materie. Contro la sostituzione del tempo scuola con il lavoro in azienda , …Corriere della sera, Milano, 12 aprile 2005), ma non saprebbe mettere insieme un'idea che riguardi il miglioramento delle condizioni del suo mestiere di giovane che studia.
L'innovazione dell'autonomia scolastica: un cambiamento sulla carta
Il primo vero tentativo di superare la vecchia concezione ottocentesca del tempo coincide con l'avvio dell'autonomia delle istituzioni scolastiche. L'art. 21 della Legge 59/97 e soprattutto il regolamento (DPR 275/99) affrontato il problema della “flessibilità” organizzativa, aprendo spiragli di riflessione e di progettazione dei tempi di insegnamento e apprendimento del tutto nuovi per la tradizione italiana. In particolare viene definito che:
• Gli adattamenti del calendario scolastico sono stabiliti dalle istituzioni scolastiche in relazione al POF, nel rispetto del calendario generale decretato dalle Regioni
• L'orario complessivo del curricolo e quello delle singole discipline e attività sono organizzati in modo flessibile, anche su programmazione plurisettimanale, fermi restando l'articolazione delle lezioni in non meno di cinque giorni settimanali e il rispetto del monte ore annuale, pluriennale o di ciclo per le singole discipline e attività obbligatorie. (Art.5, DPR 275/99).
C'è dunque un tentativo di finalizzare i tempi d'insegnamento all'eterogeneità degli allievi, alla diversificazione dei metodi, all'apertura della scuola all'ambiente e al territorio, all'utilizzazione delle nuove tecnologie, al lavoro in équipe degli insegnanti.
Nonostante il passo avanti, però, rimangono intatte le abitudini consolidate, dovute anche all'insufficienza della ricerca scientifica in questo campo.

CONTINUA LA LETTURA NEL SITO DELL'ADI >> >>



Altre news
4/8/2020 17:03:43 - VAI AL NUOVO PORTALE
1/6/2018 14:22:37 - INFORMATIVA AL TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI DEI SOCI E CONSENSO
1/6/2018 0:10:00 - AVVISO ELEZIONI ORGANI STATUTARI 2018-2023
1/6/2018 0:10:00 - 2^ Assemblea Generale 2018 dei Soci
8/3/2018 16:20:00 - PRIMA ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEI SOCI ANITeL 2018
8/3/2018 15:00:00 - Documenti da votare in AG 2018
13/11/2017 9:15:07 - Corsi di formazione ANITeL 2017/2018.
15/6/2017 18:10:00 - Proposta corsi ANITeL 2017/2018
13/4/2017 15:30:00 - Il 5 per mille a favore di ANITEL
29/3/2017 14:35:07 - AG 2017: verbali ed esiti delle votazioni

I commenti sono di proprietà degli autori. Si declina ogni responsibilità sul loro contenuto.

Login
Nome utente:

Password:

Ricordami



Password persa?

Registrati ora!

Chi siamo | Netiquette | Privacy | Disclaimer | ContattaciFAQ | Credits