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Brevettabilità software: è battaglia nella Ue

Data 6/6/2005 22:04:10 | Categoria: Software

di CLAUDIO GERINO

da www.repubblica.it

Tra pochi giorni, il nodo della brevettabilità del software arriverà al pettine. L'Unione Europea dovrà infatti discutere della direttiva che armonizza le legislazioni vigenti nei 25 paesi membri della Comunità e ne dovrebbe stabilire i confini.
Ma il tema ha già scatenato furiose polemiche tra i fautori della brevettabilità del software e i contrari, polemiche che dividono trasversalmente sia i partiti politici, sia le associazioni degli industriali. Alla brevettabilità del software, poi, si oppone l'intera comunità "open source" che teme si tratti di un nuovo, pesantissimo attacco alla libera distribuzione ed elaborazione dei programmi e sistemi operativi dei computer e che ha come suo portabandiera "Linux", il sistema operativo creato da Linus Torvalds e da una vasta congregazione di appassionati "smanettoni".
In Italia, la Confindustria si è schierata decisamente a favore della normativa in discussione a Bruxelles, spiegando che essa può rappresentare il vòlano dell'economia nazionale dell'Information Technology. Ma non tutti, anche all'interno della rappresentanza degli industriali, la pensano così o almeno ritengono che la formulazione data dalla Comunità Europea al tema della brevettabilità del software sia completamente condivisibile.
Dobbiamo fare un piccolo passo indietro per spiegare questo: la normativa dice che "nessun software 'purò può essere brevettabile" e che "occorre armonizzare la legislazione dei diversi paesi europei". Quello che è brevettabile, secondo la direttiva Ue, dovrebbe diventare quella che in inglese viene definita "Computer implemented Invention", cioè l'invenzione che utilizza il computer. Una terminologia estremamente generica che lascia spazi interpretativi enormi. Così, mentre tutti si dichiarano d'accordo sulla prima parte, cioè l'impossibilità di brevettare "software puro" e sull'esigenza, per questo, di armonizzare le legislazioni dei diversi paesi, ci si divide su cosa sia la seconda parte.
La Federcomin, che riunisce le aziende "hitech" italiane, ha chiesto ufficialmente di dare un senso più chiaro al "Computer Implemented Invention", facendo capire che senza tale spiegazione si rischia una situazione di stallo completo, come è successo in parte negli Stati Uniti in cui la brevettabilità del software è diventata soltanto un contenzioso legale continuo.
Alfonso Fuggetta, direttore scientifico del Cefriel di Milano, in questo senso è stato chiarissimo: "Il 98 % dei brevetti software registrati negli Stati Uniti sono banali e inutili, se non dannosi. Solo il 2 % ha rappresentato una reale innovazione". Il punto cruciale, ha spiegato Fuggetta, è proprio questo: capire cosa sia effettivamente brevettabile per tutelare e difendere lo sviluppo tecnologico e cosa invece, sia nocivo ad esso.
Orazio Viele, direttore ricerca e innovazione del gruppo Engineering, ha spiegato che "nessuno può dichiararsi contrario all'armonizzazione delle legislazioni europee, essendo questo la base per avere la certezza di poter commerciare in tutta Europa liberamente". Ma sul "Computer implemented Invention", Viele ha le idee chiarissime: "ci sono due possibili interpretazioni; la prima è che si tratti dell'insieme di software e dispositivo che lo supporta e questo è, a mio parere, assolutamente legittimo. Un'appliance per un cellulare, ad esempio, è specifica per quel cellulare, le due cose non possono essere disgiunte. Se invece si ritiene che il software sia in qualche modo 'indipendente' dal dispositivo che lo utilizza, allora si rientra nella prima parte della normativa e cioè che il software 'puro' non è brevettabile. Dire che poi si può brevettare questo software diventa un controsenso e potrebbe portare solo a cause legali infinite".



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